domenica 10 ottobre 2010

L'altro me.

Ore 19.30
Fa già buio... Si vede che è arrivato l'inverno. Il vento soffia forte e freddo, come è normale consuetudine in questa stagione. Gli alberi si piegano, i motorini lottano per mantenere l'equilibrio e le persone si aggrappano ai lampioni, per evitare di finire gambe all'aria, a causa di una raffica più forte delle altre.
Mentre ciò si verificava, io ero lì: nella pineta sul lungo mare, in uno spiazzo realizzato artificialmente fra gli alberi, perché ospitasse un cerchio di altalene. La grande struttura in legno non sembrava accusare i colpi del vento e le altalene stesse offrivano troppo poca resistenza allo stesso, per poter venir spostate più di tanto.
Mi ero seduto su una panca in metallo, per mangiare un panino e leggere un po', alla luce della lanterna posta alle mie spalle.
La stanchezza, però, era grande e mi costringeva a chiudere le palpebre più spesso del consueto. Nel corso di una sequenza fra queste, stavo osservando uno svivolo per bambini... Una ragazza faceva jogging sulla costa, bambini ruzzavano lontani, il lento e parziale moto ondulatorio delle altalene mi cullava...
Chiusi gli occhi per riaprirli subito dopo.
Ai piedi dello scivolo era apparsa una figura vestita di nero con un cappuccio che le copriva la testa. Ero praticamente certo che prima non ci fosse, ma ero altrettanto certo che mi stesse fissando dritto negli occhi, sebbene io non riuscissi a scorgere la fonte di quello sguardo.
Mi si avvicinò in un improvviso silenzio irreale. Anche il vento aveva cessato di ululare. attorno a noi.
"E' tempo di andare"
Non ho idea di cosa volesse dire, ma qualcosa dentro di me, mi diceva che era così.
"Se così è scritto, temo sia così" gli risposi e mi incamminai assieme a lui, in luoghi che non avevo mai visto e di cui ignoravo l'esistenza.
Mi fece stendere su di un tavolo di pietra e mi fece togliere la camicia.
"Trattala bene: è la mia preferita" gli raccomandai.
Mi diede un sorso di the caldo. Era amaro, ma mi riscaldava.
Dopo meno di un minuto, il buio più assoluto: il sonno senza sogni.

Non so quanto tempo passò, ma iniziai a sentire voci lontane e confuse... Forse familiari... Ma doveva essere un'illusione dettata dalle droghe di Morfeo, poiché una sembrava la mia ed ero abbastanza certo di non star parlando, in quel momento.

"...è sopravvissuto: non lo avremmo mai detto..."
"...io lo sapevo..."
"...cosa ne facciamo..."
"...non è pericoloso, restituitegli la sua vita..."
"...sapete bene che non possiamo: non sarà più la stessa vita, ora..."
"...fatelo e basta: non m'importa. Era destino sopravvivesse: non mi scontro con il destino..."

Credo fossero queste le parole delle 2 voci, ma non potevo esserne sicuro, in quei momenti...
Riaprii gli occhi solo dopo essere caduto nuovamente nel mondo del sonno, questa volta popolato da milioni di sogni diversi, tanto che pensai anche di aver sognato i dialoghi di cui vi ho parlato.
Da sveglio, mi ritrovai nella pineta da dove ero partito, vestito come quando vi ero seduto.
Feci per alzarmi, convinto che sgranchire le gambe mi avrebbe facilitato il risveglio, ma mi sembrò uno sforzo di proporzioni titaniche. Risi fra me e me, pensando fossero normali acciacchi dell'età, ma qualcosa mi diceva che si trattava d'altro.
Camminare sembrò un'utopia, come se avessi avuto delle enormi catene ai piedi o come se la gravità del pianeta fosse deduplicata.
Il cielo era scuro come quando lo avevo lasciato. Forse aveva ora una lieve sfumatura rossa, rispetto a prima... Meglio: Rosso di sera, bel tempo si spera, di solito.
Per fare 10 metri, dovetti fermarmi a riposare su 4 alberi diversi: qualcosa non andava di certo.
Avevo il fiatone per nulla e sentivo... no... avrei dovuto sentire... Ecco: questa è la forma verbale giusta... Quando si è affannati, in genere si sente il cuore che romba nel petto, come un motore a scoppio ed in quella occasione, non riuscivo a sentire nulla, se non una lieve vibrazione, che ricordava maggiormente quella di un cellulare appoggiato su un cuscino.
Un pensiero mi attraversa la mente, ora lucida e mi siedo su una delle molte panchine per riprendere fiato e per controllare se i miei timori siano fondati, ben conscio di non aver realmente modo di scoprirlo.

Mi sbottonai la camicia e mi resi conto di avere un modo ben chiaro e semplice per constatare la realizzazione dei miei timori: la vista.
Sul petto dominava un taglio ricucito da poco che percorreva tutto lo sterno unito ad un altro ad esso perpendicolare all'altezza del cuore.
Tastai e sentii mobida carne sotto la pelle, senza trovare la cassa toracica in difesa del polmone sinistro, che pur sentivo caricarsi d'aria ad ogni mio respiro.

A quel punto sapevo cosa volesse dire la figura in nero e cos'era successo.

Sapevo già da tempo che sarebbe successo ed avevo ragione di farlo: me lo avevano portato via e probabilmente non lo avrei sentito mai più...

1 commento:

  1. prima di dormire invece di leggere un libro leggo il computer ovvero i tuoi post. Ultimamente sono dei capolavori

    grazie nocchiero

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