giovedì 30 ottobre 2014

Motore ad improbabilità infinita.

Oggi (o ieri ormai) è un giorno particolare.
Sabato 25 c'era il concerto del Divo, ma era fuori città ed io, munito solo di biciclo a motore umano, non potevo andarci e non conoscevo nessuno che ci andasse.

MA.

Esiste un "MA", l'avevate notato?

Ma questa mattina, verso l'alba, noto un post sul faccialibbro. Il post di una canzone del Divo. Diceva di averla postata perché era adatta al nonfunzionamento del pc e per l'ccasione del concerto cui andava.
Quindi, come non approfittarne?

Scrivogli 10 messaggi per 10 differenti vie, per assicurarmi che lo riceva.
Nessuna risposta.
Passano le ore, mi risponde verso le 15 ed io sono a lavoro oramai e mi ero rassegnato all'idea di non andarci.
Invece la risposta giunge ed è positiva: alle 20 vengono a recuperarmi fuori da lavoro. Faccio in modo di finire di lavorare per tempo ed alle 20.05 siamo in viaggio. Destinazione: Pordenone.

Arriviamo "tardi" secondo quanto scrivevano sul programma ma è tutto chiuso. Lasciano il pubblico al gelo fino alle 22 circa (ora in cui doveva cominciare il concerto) dopo di che si aprono le porte e la fila inizia a riversarsi all'interno.
La sala è grande e l'acustica è buona. Potrebbe ospitare forse 500 persone ma se ne contano meno di 200.
Alle 23 le luci calano, i musicisti escono dalle quinte, le ballerine si mettono in posizione ed escono i protagonisti: Romina ed il Divo.
Salutano il pubblico, sono entusiasti di cominciare e la prima canzone è una di quelle che hanno fatto assieme. Poi continuano alternando canzoni del Divo (al centro del palco) a canzoni di entrambi ad ancora canzoni solo di Romina in cui lui si mette in un angolo per lasciare a Lei la scena ed il palco: per dire al pubblico che questa è una creazione suadi lei e che lui non centra. Il divo si limita a fare da seconda voce quando serve e lascia gli applausi a Romina, durante quei momenti.
L'ho trovata una cosa molto bella, soprattutto perché granparte del pubblico (anche se per lo più maschile) era lì per vedere il Casto Divo, non Romina Falconi, che lo accompagna nel tour.

Un'ora e mezza di concerto con brevissime intro fra una canzone e l'altra, tanto per preparare il pubblico al pezzo successivo. Il pubblico risponde esattamente come deve rispondere: ride ed applaude durante i pezzi goliardici, rimane in reverenziale silenzio durante quelli seri. Applaude.
Applaude sempre.

A fine concerto concede un rapidissimo bis, va a nascondersi dietro le quinde e la musica torna da discobar.
I fan aspettano in sala, attorno al banchetto dove vendono i gadget.

Escono i musicisti con una birra in mano. Tranquilli, blandi, sciolti. Sanno che nessuno li caga di striscio e così avviene.

Escono le ballerine che invece subiscono una differente sorte. Ogni 3 persone del pubblico, una chiede loro una foto (noi compresi, sia chiaro).

Esce Romina Falconi, accompagnata da una guardia della sicurezza. E' tranquilla e non teme che la folla la aggredisca ma un po' di cautela non fa mai male.
Riceve degli applausi ma nessuno la ferma (temendo l'armadio).

Esce il Divo e tutti lo salutano con un applauso mentre si dirige tranquillo al banchetto. Facciamo la fila pazienti, aspettando il nostro turno. Nel mentre mi dedico a 2 attività da me adorate:
1) il Photobombing: l'arte di inserirsi non richiesti nelle foto altrui al pensiero di "chissà quando guarderanno le foto e si chiederanno chi sia questo imbecille"
2) Osservare le persone. Tante persone cercano di parlare con lui, di scambiarci due battute, gli dicono "ti ricordi di me? al concerto a Forlinpopoli!". Lui sorride ma non si ricorda e lo ammette. Dopo una mezzoretta di fila lo guardo e lo vedo stanco, spossato. Come se l'entusiasmo di salutare i fan, fare autografi e foto si stesse spegnendo. Magari stanchezza, magari era tardi ed era tutto il giorno in viaggio, lavoro, eccetera. Magari c'era troppa poca gente ed il suo entusiasmo si era smorzato drasticamente.

Molti magari che però lasciano spazio solo al pensiero che un grande artista si vede anche nel rapporto che ha con il pubblico sotto il palco. Capaci tutti di fare il concerto sul palco ma non tutti ammettono un contatto con le persone dopo.

Alla fine riusciamo a fare una foto con il Casto Divo e con Romina Falconi (trofeso numero uno) e a farci firmare dal Divo i "gadget" (non è davvero un gadget di per sé ma è il trofeo numero 2) facendoli dedicare "a Kiwi" (che sarei io nella vita reale e questa dedica è il trofeo numero 3).

Lungo la strada del ritorno dormo profondamente fino alla bicicletta e nel sonno mi chiedo quanto debba essere dura essere una star di fronte agli ammiratori e quanto possa essere psicologicamente distruttiva l'idea di dover essere sempre al pieno delle capacità e sempre perfetto agli occhi del pubblico.

Una di quelle vite che non penso vorrei mai.
Una di quelle vite che, sulle lunghe distanze, ti uccide giorno dopo giorno.

lunedì 27 ottobre 2014

Il Bianconiglio corre davanti a me: deve essere un indizio...

Sono in ritardo, lo sapevamo...
Son svariati giorni che voglio aggiornare il blog (e non mi mancano gli argomenti) ma non trovo mai il tempo o la forza di sedermi al pc per esternare i miei pensieri.
Tuttavia, ieri era domenica, quindi era il giorno listography.
A che numero eravamo arrivati?

The Life In A Year


Suppongo fosse il numero 8: cosa faresti se vincessi alla lotteria.

Domanda interessante cui non sono certo di rispondere con sincerità. Quando si vince alla lotteria, bisognerebbe spendere il proprio denaro per realizzare un sogno nel cassetto. Ebbene come può realizzare un sogno chi di sogni non ne ha?

Probabilmente organizzerei il denaro ricevuto per assicurarmi la tranquillità nel futuro ed utilizzerei quanto resta per farmi un viaggio "impegnativo".
Che altro farei? Probabilmente nulla di speciale ma farei tutte le cose normali con molta più calma e tranquillità.

Ammetto che tornare a scrivere con un post così povero è una cosa riprovevole ma di più non ero riuscito a fare.
Mi riprometto di riprendere in mano la tastiera al più presto...

Un saluto un po' freddo in questi giorni di gelo e Bora (e dire che il sole splende alto).

martedì 21 ottobre 2014

Idee che tolgono il sonno.

Tanto tanto tempo fa, degli amici mi avevano parlato di un "cartone animato" chiamato "Salad Fingers". Più che un cartone, è una serie di 10 brevi scene che hanno come protagonista questo elemento dotato di dita estremamente sensibili.
Oggi mi sono deciso ed ho guardato tutte e 10 le scene. Terminata la sequenza, avrei voluto non aver mai cominciato.

Perché?

Perché è...disturbato e disturbante. Le musiche, i tratti, le animazioni, ogni cosa di questo cartone ha qualcosa di sbagliato. Forse tutto è sbagliato in questo cartone.
Ad un certo punto, son voluto andare sulla cara Wikipedia per vedere se ne prlassero e cosa ne dicessero. Quanto ho letto non mi ha rassicurato molto ma almeno so che l'atmosfera e la sensazione di "sbagliato" erano volute dall'artista.

Cosa fa questo protagonista nelle sue scene?
Non ve lo posso dire. Davvero non ci sono parole per descrivere il susseguirsi delle azioni che questa...creatura...compie.
E non solo quello. Cioé, fosse solo una questione di azioni, forse non sarebbe davvero un problema. Però egli si comporta con una flemma e con una calma surreali, come se fosse in un perenne viaggio mentale da cui non riesca ad uscire.
Sembra vivere in mezzo al nulla eppure appaiono dei personaggi secondari che lo accompagnano per brevi tratti apparendo e scomparendo nel nulla.

Io non so a cosa pensasse l'artista mentre creava quest'opera ma certamente è un capolavoro di inquietudine ed angoscia. Lo consiglio e lo sconsiglio a tutti al tempo stesso.

Da un lato mi ha inquietato, da un altro mi ha fatto provare una sensazione di familiarità, come se mi dicesse che non sono l'unico ad essere pazzo in questo mondo ma che esistono altre menti e che in ognuna di esse c'è qualcosa di malato e nascosto fra una piega e l'altra del cervello: dove lo sguardo superficiale non riesce a guardare.

lunedì 20 ottobre 2014

7: massima misurazione di ogni cosa.

The Life In A Year


 Come di consueto è arrivata la domenica e dopo ua giornata distruttiva/lavorativa, siamo pronti a scrivere il settimo capitolo delle liste.
Numer 7: insegnati preferiti.

Direi semplice semplice.

Maestra Rosy: alla scuola materna era adorabile. Come un folletto eterno (l'ho rivista a distanza di 20 anni: è perfettamente identica).

Maestra Franca: alle elementari era la maestra che tutti preferivano. Insegnava materie per lo più umanistiche ed è stata lei ad insegnarmi l'amore per i libri (in qualche modo).

Prof Dario: Alle medie ho imparato qualcosa che alle elementari sospettavo, ovvero che ero portato per le materie scientifiche e per la matemantica. Lui mi ha fatto amare tutto il mondo legato ai numeri.

Prof.ssa Lucia: storia e filosofia non sono mai state matierie così interessanti come quando era lei a spiegarle. Ho amato gli appunti che prendevo durante le sue ore(nonostante pensassi che alcuni dei personaggi di cui andava spiegandoci fossero degli emeriti imbecilli..).

Prof. Franco: mi fa quasi impressione ricordare come si chiami di nome, dato che l'ho sempre chiamato per cognome. Isnegnava matematica nella sua forma più pura e semplice: dalle basi ed era compito nostro capire dove dovessimo arrivare e come. Chi capiva, andava avanti, gli altri morivano. Semplice selezioe naturale. Io non sono andato avanti ma la forma mentis che ha cercato di imprimerci è rimasta radicata nella mia testa ed ho capito una cosa fondamentale: guardare ogni problema da più di un punto di vista, tenendo in considerazione tutti gli elementi. Vale nella matematica, vale nella vita.

Essendomi fermato alle superiori, direi che sono giustificato che ho pochi insegnanti cui mi sono affezionato in modo particolare ;-)

Detto questo, quasi in orario, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo post :-)

giovedì 16 ottobre 2014

Arte selvaggia

In questo post, racconterò una piccola parte del mio giovedì passato.
Giovedì, prima dell'alba (molto prima dell'alba) mi sono recato in stazione per prendere un treno che mi avrebbe portato a Firenze. Tecnicamente, in effetti, il treno arrivava a Venezia e da lì la coincidenza sarebbe arrivata a Firenze. Più preciso ancora sarebbe dire che il treno arrivava a Roma ma che io mi sarei fermato a Firenze.
Detto questo, non vi racconterò della mia gita a Firenze, poiché di una gita non si è trattata: soltanto di una passeggiata in giornata, un fare amicizia con la città. Quindi non ve ne parlerò.
Vi parlerò, invece, di una parte del mio viaggio.
Ero stanco, estremamente stanco, causa orari bizzarri dovuti a lavoro e partenza ma dovevo restare vigile, per non perder i cambi a Venezia ed a Firenze. Più o meno ce l'abbiamo fatta (nel senso che ho dormito ma con una sveglia alla mano).
Ma se ho dormito, di cosa vorrò mai parlarvi? 
Arrivato a Bologna, mi son destato: ancora una fermata e sarei arrivato a Firenze.
Proprio a Bologna è salita una strana ragazza, con un aspetto che tradiva fretta, ansia ed un pizzico di follia.
Con un unico movimento, si sedette accanto a me, si tolse lo zaino Estpack che teneva in spalla, appoggiandolo alle ginocchia contro al tavolino e si tolse il giubbotto appoggiandolo sulle gambe.
Sempre di fretta aprì lo zaino estraendone un quaderno.
Sul momento pensai "Sarà una scrittrice? Dovrà solo fare i compiti? Magari in realtà è solo un libro e si mette a leggere?" ma un secondo dopo mi trovai risposta.
Il quaderno aveva solo pagine bianche (quelle libere) alternate da pagine invase da disegni (schizzi, in verità).
Prese una penna che era attaccata alla maniglietta superiore dello zaino ed iniziò a tirar giù linee su linee con una frenesia che sembrava sfociare nel fanatismo.
Iniziava uno schizzo, lo lasciava si spostava, ne iniziava un altro, cambiava pagina, ne iniziava un terzo, poi riprendeva il primo, cambiava pagina, ne iniziava un quarto, girava il quaderno da una parte, poi dall'altra.
Sembrava come se un demone possedesse la sua mente e la obbligasse a disegnare in modo ossessivo compulsivo. Di sfuggita buttai un occhio, per capire cosa disegnasse: erano visi, persone, caricature, forse. Eppure quelle persone sembrava di averle viste da qualche parte. Le guardai meglio e mi si illuminò la lampadina (che spensi subito, perché si sa: consumano): stava ritraendo i passeggeri del treno. Uno dopo l'altro, tutti quelli che entravano nel suo campo visivo finivano direttamente sulla carta. A ripensarci a mente fredda, ripenso alla "macchina fotografica" che "Duefiori" (personaggio del Mondodisco di Terry Pratchett) portò nel suo viaggio. Si trattava di una scatola di legno con un pulsante. Premendo il pulsante, usciva fuori l'immagine che la macchina stava puntando. Carta impressionabile alla luce? No: piccolo demone pittore nascosto nella scatola. La stessa cosa mi sembra di averla rivista su quel treno anche se in effetti ci trovavamo tutti nella stessa scatola e lei stava ritraendo tutti i nostri compagni di quel breve viaggio. Se abbia ritratto anche me, non so dirlo, non mi è balzato all'occhio ma non penso lo abbia fatto, perché il suo sguardo vagava davanti a se, non a lato, dove stavo io.
Ripenso al modo in cui vedo le cose ed al modo in cui il mio cervello le analizza e trovo alcune similitudini: come se la sua testa analizzasse all'istante tutto ciò che vedevano i suoi occhi e fosse costretta a ritrarre tutto senza poterlo fare contemporaneamente, limitata dal lento corpo umano e dalle noiose leggi della fisica. La sua unica scelta era correre e far volare la sua penna sulla carta, catturando quanti più particolari le balzassero all'occhio.
Quasi provavo pietà per lei, quando il suo cellulare squillava e lei, con alcune imprecazioni di natura a me ignota, rispondeva intimandogli di stare zitto, dal momento che aveva le mani impegnate in cose più importanti, piuttosto che rispondere ad un futile messaggio.
Ricordo ancora la fretta con cui fece uscire dallo zaino il suo set da disegno: un rotolo di matite, penne e pennini il cui ordine era noto solo a lei che con mano ferma e sicura prese quella che più si addicesse ai suoi scopi.
Giunti a Firenze, entrambi ci siamo alzati e lei è corsa via, di fretta, probabilmente in ritardo o con l'ansia di raggiungere qualcuno o qualcosa che il proprio quaderno bramasse di aver ritratto su una pagina che le avrebbe dedicato interamente.

Ecco, quella ragazza mi sembrava fosse l'emblema dell'arte nel senso antico del termine, quando l'artista veniva ispirato dalle muse e non poteva far altro che riprodurre le linee, i suoni e le parole che loro volevano suggerire. Visto così, ricorda un uomo incontrato in un fumetto.
Quell'uomo era Richard Madoc, scrittore con un blocco che gli impediva di terminare (se non addirittura di iniziare il proprio romanzo).
Da un collega ricevette un dono che gli permise di terminare la propria opera e di iniziarne altre, con grande successo. Tale dono era la musa della scrittura, sua prigioniera e schiava.
Il fumetto in questione era Sandman ed aveva Morfeo, appunto, come protagonista. Morfeo era stato amante di tale musa ed in quanto tale, andò da Richard per pretendere fosse liberata. Ovviamente l'uomo rifiutò. Come cedere la fonte del proprio lavoro, del proprio guadagno? Le storie venivano da lei.
Il signore dei sogni, quindi riempì la mente umana dello scrittore con un numero di storie superiore a quante lui potesse davvero contenerne, facendogli arrivare vicino a perdere il senno, finché si arrese e liberò la musa.

La ragazza dava la stessa impressione: condannata a vedere più cose di quante una mente umana possa analizzare e contenere, costretta a replicarle su carta alla maggior velocità possibile, sperando di riuscire a star dietro alle nuove figure, destinate ad apparirle in ogni secondo...

A volte la nostra mente viaggia ad una velocità tale che noi stessi, con la nostra razionalità, fatichiamo o rinunciamo del tutto a starle dietro.

lunedì 13 ottobre 2014

Non capisco se sia il tempo a far schifo o se il sole non sia ancora sorto...

The Life In A Year


In questo lunedì mattina (che faremo finta essere domenica) proseguo nella pubblicazione della sesta lista

Listography number 6: your past jobs... (i miei lavori passati).

Vorrei dire "sarò breve" ma sarebbe una vile menzogna...

- Call center: come una grande fetta della popolazione, sono stato alcuni anni all'inferno, sentendo squillare telefoni, con delle cuffiette fisse a ripetere ad ogni persona le stesse cose dette alla precedente. Che fossero vendite, appuntamenti, reclami, sondaggi, indagini non aveva importanza: la soa categoria che sembra mancarmi sono le telefonate hot, ma i titolari non volevano (dico "i titolari" perché di call center ne ho girati almeno 5).

- Locandinaggio: tutti son bravi a portare volantini e distribuirli in giro (ed è una grande rottura di scatole) ma quanti portano locandine? Io certamente sì: per conto di una società di teatro, ho girato ogni bar, negozio, cabina telefonica, ufficio, portando delle locandine da appendere sulle vetrate. Kilometri e kilometri a piedi...

- Teatro: ebbene sì, ho lavorato anche in teatro. Vuoi sul palco, vuoi come tecnico luci, vuoi come custode del magazzino di attrezzatura elettronica. Può venir considerato un bel lavoro ma è meglio che rimanga solo un hobby (che comunque non avrei il tempo di portare avanti)

- "Operaio": metto sotto questa voce 2 esperienze lavorative ben distinte. La prima come apprendista elettricista (durato molto poco) l'altra in un cantiere navale. Sulla prima non ho nulla da dire, dato che è durato davvero poco. Il secondo, durato più o meno 2 mesi, sarebbe potuto essere un lavoro continuativo, se non mi fossi rotto un braccio il giorno prima che mi rinnovassero il contratto...

- Pizzeria: ho mai studiato per lavorare in pizzeria? No. Ho mai studiato per pizzaiolo? Assolutamente no, eppure ero lì: nella cucina di una pizzeria a stender pasta di pizza, condire ed infornare. Detta così, sembra davvero ciò che non è. Pur non essendo pizzaGNU o simili, avevo una pressa per stendere la pasta (comodo così, eh?) ed il forno elettrico dove infilar le pizze ed uscivano (in teoria) cotte (doppiamente comodo). Sarebbe potuto essere un lavoro interessante, se il titolare si fosse preso la briga di pagarmi ogni tanto...

- Bar: Non è davvero un lavoro passato, anzi, è piuttosto attuale ma dato che ci lavoro  da 5 anni, posso considerarlo anche passato. Cameriere/banconiere/tuttofare, sono membro dello staff estivo ed invernale di una gelateria/caffetteria/stuzzicheria/pralinerai/quelchevuoia-ia-ia-oh. Insomma, un lavoro che tende a mandarmi ai matti (non che ci voglia molto) ma che devo fare (e che offre qualche rara piccola soddisfazione)


Non credo di aver dimenticato nulla in questa lista e anche se fosse voi non potreste saperlo, quindi va bene così. Come sempre è un piacere ritrovarsi qui, a scrivere un post differente dal solito, con una linea guida più delineata dalle altre, sempre più simili alla tela di un ragno impazzito.

Vi saluto e vi omaggio... Buona giornata (e prendete l'ombrello, vedi mai che venga a piovere)

giovedì 9 ottobre 2014

Una vita a colori: le tonalità che l'occhio umano non vede.

Qualche giorno fa ero ad una festa di compleanno a tema.
Il tema scelto era il circo.
Sorvoliamo sul fatto che, solo a posteriori ho capito di aver sbagliato il mio costume e che avrei potuto sfruttare meglio questa festa per dare di più.
Ogni cosa nella sala era addobbata come se ci trovassimo in una grande femiglia circense. Stuzzichini, la torta con i trapezisti (non disegnati: costruiti sopra) i cocktail personalizzati con nomi circensi, la zingare che ti legge le carte in un angolo, le bestie feroci nelle gabbie (gabbie di legno, bestie di pezza), vari clown e maghi che pasteggiavano e brindavano in allegria, un incantatore di serpenti (serpente sempre di pezza), l'uomo più forte del mondo, con un bilancere e dei pesi più grandi di me.
Tanta gente tutta allegra e tutta sparsa a chiaccheirare, a ballare, a guardare altri che si esibivano.

Poi, il silenzio.
Sulla scena, inizia il proprio spettacolo una figura solitaria in bianco e nero: un mimo.
Era uno dei partecipanti alla festa vestito da mimo, ovviamente, ma aveva preparato un paio di numeri per il pubblico giubilio.
Giocoliere, ginnasta, intrattenitore muto che sol oascolta il silenzio alternato agli applausi.
Dopo un paio di numeri allegri, lo vediamo su una sedia, fermo, in mezzo al palco. Guarda l'orologio che non porta al polso. Aspetta qualcuno, sfoglia una rivista, sospira, si alza dalla sedia e si esibisce in un paio di capriole e volteggi, torna a sedersi.
Ripete la sequenza un paio di volte come un innamorato che aspetta l'arrivo di colei che brama ma che non sembra arrivare mai, nonostante il desiderio di vederla cresca in ogni istante e lui lo esprima con volteggi e capriole di difficoltà sempre crescente.
Mette tristezza vedere quest'attesa non ripagata e prolungata.
Ad un certo punto si alza.
Si guarda intorno.
Inizia ad andarsene, rassegnato, gesticolando come se non ne valesse la pena, come se avesse sprecato il proprio tempo, stando lì per qualcuno che non verrà mai.
Arriva alla tenda che lo condurrà del tutto fuori scena, ponendo un termine allo spettacolo e si gira un'ultima volta, come ad assicurarsi che non sia apparsa, mentre se ne stava andando, poi se ne va e la festa riprende normalmente.

Mi ha lasciato un piccolo vuoto quella scena, una lieve ansia.
Perché l'ha solo aspettata?
Perché non è andato a cercarla?
Magari lei era su un'altra panchina ad aspettare lui.
Dopo aver atteso così a lungo, perché rinunciare?
Vladimir ed Estragone pure non hanno rinunciato, non vi pare? Loro erano rimasti ad attendere fino al calar del sole, per poi riprendere il giorno successivo.

Non so.
Io sono una persona che tende ad aspettare, certo, forse anche a bramare, ovviamente, ma nel fratempo vivo la mia vita, come se ciò che aspetto non dovessse arrivare mai. Si sa che le cose che vogliamo arrivano solo quando smettiamo di volerle intensamente (se non lottiamo per averle).

Credo si possa scegliere fra 2 opzioni:
1) Lotti per ciò che vuoi
2) Tieni il tuo desiderio in secondo piano, aspettando si realizzi autonomamente prima o poi.

Non ci si può dannare per qualcosa che non accade (anche perché non si sta facendo nulla per far sì che accada).

Mi chiedo come sia il mondo visto attraverso gli occhi di un mimo.
Mura che noi non riusciamo ad immaginare, corde appese a isole nel cielo su cui non siamo invitati, un intero universo di oggetti che la gamma di colori che il nostro occhio percepisce non riesce a rendere visibile. E se quello che vede esiste, lo vede davvero con gli occhi o con gli occhi della mente?
Forse riconosce il nostro mondo dall'altro attraverso i differenti colori. Chissà quali colori hanno le cose attraverso il suo sguardo, chissà se ha davvero colori o se sia tutto in bianco e nero e lui si tinga di quei colori per ricordare a tutti ed a se stesso che appartiene a quel mondo e non al nostro e che se lo vediamo è soltanto un nostro errore, un frutto della nostra immaginazione.

Chissà se un giorno potremo tutti scegliere di prendere una piccola imbarcazione, scender lungo la riva e prendere il largo nel mare dei nostri pensieri, senza più doverci preoccupare di quello che definiamo "mondo reale" ma che di reale ha soltanto la finzione che ogni persona porta sul viso, come una tetra maschera di convenienza.

lunedì 6 ottobre 2014

Dicono che domenica 5 avrei dovuto scrivere la 5° edizione delle listografie... e vabbé, inizio con un ritardo di 2 ore...

The Life In A Year


Quinta puntata: le mie paure. O meglio, le mie più grandi paure.
Che posso dire...? Io non ho terror di vermi, né di serpenti, né di germi, ma i rotondi pachidermi mi fan rabbrividir...

1) Il buio.
Sembra stupido ma ho paura del buio e di ciò che nel buio si possa nascondere. Tremo all'idea di aprire gli occhi nel cuore della notte e di trovare un viso davanti al mio.

2) Gli specchi.
Da un certo punto di vista (puramente vanesio) io adoro gli specchi ma tutti i film dell'orrore insegnano che, quando ci si gira a guardare uno specchio, appare una figura minacciosa accanto alla propria.

3)  Le scale.
Non parlo delle scale da lavoro, bensì delle scale che si trovano nelle case a due piani. Ricordo un vecchio vecchissimo film (sarà di vent'anni fa) in cui un bimbo torna a casa dalla madre che lo credeva morto. Lui effettivamente era morto e quell oera un demone venuto per ucciderla (o torturarla o farle tante altre belle cose, non so). In una scena, c'è un lampo e lui appare sulla cima delle scale con volto demoniaco.
Non credo ci sia altro da spiegare.

4) Ingrassare.
Negli ultimi mesi sto mettendo su qualche kilo e la cosa mi spaventa molto (ok, questa è un po' una cazzata)

5) Far soffrire.
La statistica ha provato senza dubbio che, fra le varie capacità intrinseche della mia persona, c'è anche la capacità di far soffrire chi mi stia attorno o mi sia vicino. Tanto spesso di allontanare tutti ma non si può vivere sotto una teca di cristallo.


Ci sono poche altre cose di cui io abbia paura e sono tutte paure secondarie, che cerco di superare ogni volta che mi capita di trovarmi nella situazione di doverle affrontare. In genere ho successo in ciò.
Ci rivediamo al prossimo post, un saluto a tutti.

sabato 4 ottobre 2014

Windows open air.

Vivo fra casa e lavoro, con poche e vaghe eccezioni, ma mi va bene così. Fuori trovo raramente cose tanto interessanti che io non riesca a trovare anche qui, lì e lungo la strada.
Tuttavia, a volte, c'è bisogno di prendere un po' d'aria, di cambiare modo di respirare, di cambiare finestra da cui guardare il mondo.
Nelle ultime sere, sto sperimentando un nuovo sistema operativo: Windows open air, appunto.
Si tratta di mettere in stand by il pc, aprire la porta-finestra della camera, mettersi in poggiolo ed aspettare.
Uso sedermi con la schiena contro la ringhiera, nella notte. Addosso ho solo una T-shirt ed i pantaloni della tuta. Sento freddo e metto una coperta a terra. Il cielo è scuro, è notte. Il vento fresco mi accarezza il corpo, mi rinfresca, mi mantiene giovane.
Qualche gatto o qualche uccello vaga fra i cespugli, mentre i gabbiani sorvolano i tetti, incuranti della notte. Ormai sono diventati notturni: non gli interessa che ora sia. Ed a me interessa? Credo sia l'1 o giù di lì. Vedo le stelle nel cielo, nonostante l'illuminazione cittadina. Del resto il poggiolo è messo nella corte interna, dove non ci sono lampioni. Non vedo il terreno sotto di me ma so che c'è, due piani più in basso. Qualche auto passa, lasciando solo una scia di foglie mosse e smog.
Qualche piano più in basso, da qualche camera, una coppia sta amoreggiando rumorosamente. Chissà se è davvero una coppia poi, o se lui o lei hanno aspettato che il compagno o la compagna fosse a lavoro per far entrare l'amante. Dalle grida si direbbe davvero l'amante, in effetti, oppure una coppia formata da poco, data la passione che ci mettono. Mi chiedo se i vicini riescano a dormire con questo concerto a due voci.
Il vento continua a rinfrescarmi ed a portarmi i profumi del giardino poco distante.

Non facesse quasi freddo, potrei addormentarmi qui, per risvegliarmi con il primo sole del mattino e l'aria fresca dell'alba.

Ma forse un bel letto caldo con il piumino è meglio...

giovedì 2 ottobre 2014

Umore in altalena, uno specchio rotto...

Dicono che essere di buon umore sia la decisione più coraggiosa che si possa prendere al mattino, quando ci si svegli.
Coraggiosa? Non penso sia coraggiosa, onestamente. Certo, corri il rischio che il sorriso si trasformi in una smorfia di tristezza e nervosismo, ma iniziare la giornata con il buon umore significa aver la forza di volontà di dire che vuoi credere che la giornata possa andare bene.
Non possiamo controllare il corso degli eventi, né prevedere cosa ci riservi il destino. Forse è un peccato, forse è una fortuna, perché in fondo nulla potrebbe davvero prepararci al nostro stesso futuro e nulla potrebbe cambiarlo, altrimenti non potremmo vederlo.
E se vedendolo potessimo cambiarlo, dunque vorrebbe dire che non era realmente il futuro quello che avevamo visto.
Sembra un cane che si morde la coda, non è vero?

Fino a un anno fa, uscivo da casa con il sorriso, andavo a lavorare, trasmettevo un sorriso a chiunque mi fosse accanto e ne offrivo a chiunque incontrassi.
Col passare del tempo, il sorriso se n'è andato e non so farlo tornare. Certo, concentrandomi riesco a sorridere, ma si è persa la spontaneità con la quale gioivo di ogni cosa attorno a me.
Oggi ogni sorriso è uno sforzo.

Un sorriso non si dovrebbe scegliere: dovrebbe nascere da dentro e frizzare come un vulcano in eruzione.

Gli dei lo sanno quanto mi manchi sorridere eppure non so che fare per ricominciare a farlo.