sabato 29 maggio 2010

Al servizio dello Yogurt

Le volte precedenti non l'ho fatto... ma questa volta temo meriti farlo...
Si ringrazia il sito http://www.blusubianco.it/blusubianco.aspx? per l'organizzazione del concorso e per il suo continuo sputare fuori incipit su cui spendere parecchio tempo, al fine di ritrovarci una bella storia attorno...

Cito l'incipit.

Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.
Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta:
prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola;
scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate
con tutto quello che si portano dietro.
E’ il potere della pagina bianca, credo.
Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta.

Fine incipit.

Letto ciò, ogni persona dovrebbe trovare un modo per continuare e terminare il racconto... Il vostro Apprendista ha fatto così e sa che non verrà apprezzato dalla giuria per questo fatto...

Inizio racconto.

In fondo mi dispiace: potrebbe continuare a chiamarmi ed a parlarmi per ore ed io non gli risponderei. Già ora, non ricordo più cosa egli mi abbia detto un istante fa: sono distante mille miglia.

Dove sono?

Non saprei dirlo. Vedo un arcobaleno con 256 colori ed un nostalgico addio vola verso la dimenticata scala a 16 toni. Cammino con lo sguardo volto al cielo e quasi finisco addosso ad un pacifico unicorno meccanico che mangia con calma una mela, senza mostrare di essersi accorto di me.

Cosa ci faccio qui?

Più lontano, al di là del torrente cristallino, una ninfa sta lavando dei panni. Probabilmente appartengono al suo sposo. Eppure il suo sposo non è qui: lo sento. Allora, dove si trova?

L'unicorno mi si avvicina. Ora è legato ad una piccola diligenza ed una strana creatura dalle orecchie arricciate mi fa cenno di salire. Non so dire perché quell'essere mi ispiri fiducia. Certamente non si tratta di un elfo: "Nessuno di fida di un elfo", mi hanno sempre insegnato, fin dalla nascita, sebbene ora io non riesca a focalizzare precisamente da chi arrivasse tale insegnamento. Non importa: il fatto che non si tratti di un elfo mi basta. Leggo alcune note nei miei appunti, mentre la piccola scatola di legno balla sul terreno accidentato. Stranamente, trovo qualcosa riguardante quella creatura, pur non ricordando d'averla mai vista.

Sembra trattarsi di un "Goblin delle praterie occidentali": una delle 7 casate di Goblin delle "Lande dimenticate".

Tutti mi hanno sempre descritto i goblin come creature infide e meschine ma è chiaro che nessuno ne abbia mai conosciuto uno realmente. Sono gentili e cortesi, con chi capisce le loro usanze ed evita di commentare la loro altezza: nulla li fa inferocire maggiormente di un commento sulla loro altezza o sulla quasi totale assenza della stessa.

Questa, in origine, è stata una delle ragioni che ha portato al conflitto fra loro e gli spocchiosi elfi alti, i quali non si sono saputi trattenere dal sottolineare la loro superiorità a tale riguardo. Ovviamente l'emissario goblin non aveva apprezzato il gesto ed aveva piantato una lancia nel ciondolo dell'elfo, trapassandolo e trapassandone il possessore. Da lì, la guerra è cominciata e si è prolungata per alcune decine di migliaia di anni, corrispondenti a 4 generazioni elfiche ed a migliaia di generazioni goblin. In effetti gli attuali goblin non ricordano neppure più cosa portò alla guerra: essi sanno solo di odiare gli elfi e nascono con questa consapevolezza, senza necessitare di altro.

Uno scossone anomalo mi suggerisce che il mio cocchiere si sia fermato. Chiudo quindi il taccuino e mi preparo a scendere, ignaro di ciò che mi aspetti.

"FRANK!"

L'editore è ancora lì e continua ad illudersi che il suo parlare mi raggiunga come qualcosa di più che una fastidiosa interferenza. Vedo ancora per un istante le sue labbra muoversi, poi l'immagine sfuma e la porta della carrozza si apre, lasciandomi scendere in mezzo a quello che sembra essere una pattumiera comunale alla domenica sera, dopo una settimana di sciopero degli spazzini.

L'odore è nauseante al punto che il goblin mio accompagnatore se n'è già andato, per evitare di sentirlo. "Poteva anche chiedermi se volessi restare qui", penso fra me e me, senza però rispondermi. Rassegnato alla mia situazione di bipede in mezzo alla discarica, muovo i primi passi, evitando di calpestare ciò che affolla il terreno. In effetti, della discarica c'è solo l'odore, dal momento che il terreno è disseminato di cadaveri misti fra elfi, goblin, nani, orchi, impiegati delle poste e penne biro scariche. Sembra più un cimitero dove stiano ancora facendo le selezioni per il nuovo becchino. "Avrà molto lavoro, appena lo sceglieranno... Non lo invidio affatto."

Alcune centinaia di metri più avanti, si intravede il fumo di un accampamento: la mia prima tappa per capire cosa io ci faccia qui. Faccio in tempo ad arrivare a portata di tiro che qualcosa mi viene scagliato addosso con forza e solo grazie a non so quale divinità riesco ad evitarla.

Mi volto a guardare di cosa si tratti ed il mio viso si contrae dal terrore nel riconoscere in quel proiettile lanciato in mia direzione da una catapulta un'odiata fotocopiatrice. Certamente quello è l'accampamento degli impiegati postali: valuto sia meglio non avvicinarcisi e proseguire verso un accampamento meno belligerante, come quello degli orchi, che si intravede subito oltre la collina.

Come previsto, loro mi accolgono con maggiore cordialità e mi offrono da bere. Stanno festeggiando la battaglia appena conclusasi. Hanno perso, ma festeggiano, perché la battaglia era stata violenta ed esaltante: come piaceva a loro.

La birra scorre, la carne abbonda, le orchesse danzano senza veli in mezzo alla piazza. Trovo un anello nel piatto e mi sorge un dubbio sulla natura della carne che mi trovo a mangiare, ma lo allontano velocemente, onde evitare che l'appetito scenda: non mangiare alla tavola di un orco, sarebbe come dire ad un goblin che è basso, cosa che, lo abbiamo già visto, porta solo guai.

Fra un pasto e l'altro, cerco di capire cosa stia accadendo ed alcuni guerrieri ancora lucidi mi spiegano come tutto sia cominciato a causa di una penna blu.

Sembra che tale penna fosse la promessa sposa di un goblin e che un impiegato delle poste gliel'avesse portata via ed avesse abusato di lei. Lui si era giustificato, sostenendo di averla solo raccolta da terra per compilare un modulo di spedizioni ma tutti sapevano che mentiva. Dunque il goblin aveva piantato la sua lancia nel cartellino con foto e nome dell'impiegato, trapassandolo e trapassandone il suo possessore. Una storia già sentita, da lì, la guerra. Gli elfi erano corsi in aiuto degli impiegati, millantando un'altica alleanza fra le loro genti, sebbene tutti sapessero che erano accorsi soltanto per far dispetto ai goblin. Dei nani nessuno sapeva nulla, se non che avanzavano compatti distruggendo qualsiasi cosa incontrassero. Gli orchi, dal canto loro erano lì per caso ed avendo sentito che si combatteva si erano gettati nella mischia cercando di colpire tutto ciò che non fosse verde e grosso, non sempre avendo successo nella distinzione.

"E le penne?" non posso fare a meno di chiedergli

L'orco resta pensoso per qualche istante, cercando probabilmente di comprendere il senso della mia domanda, poi si illumina e mi spiega che le penne sono parenti della promessa sposa e che vengono esaurite tutte dagli impiegati postali e, di seguito, lanciate a terra, con disprezzo.

Gli faccio cenno d'aver capito e, per ringraziarlo, gli riempio il boccale. Questo non può che farlo felice e si allontana dondolando e sorseggiando la nuova pinta.

Ripenso alla ninfa che ho visto sul bordo del ruscello, appena arrivato qui, ovunque io mi trovi. Rivedo ora i suoi occhi chiari come un lago senza fango e così limpidi come un cielo d'estate sempre blu.

Rivedo i suoi capelli biondi come una spiga di grano maturo.

Non era una ninfa e quegli abiti, non erano del suo sposo. Lei non ha uno sposo, del resto. Non uno fisso, almeno: le piace variare, come fanno tutte le sue sorelle.

La mia Musa non mi aveva neppure guardato: era troppo impegnata a pulire i miei fogli di carta, per darmeli quando mi sarebbero serviti. Quando ciò sarebbe avvenuto?

"ORA!"

L'editore quasi cade dalla sedia per il terrore. stava spiegandomi non so quale complesso concetto inerente le date di scadenza.

Ci sono cinque mozziconi nel posacenere e ciò è indice del tempo che ho trascorso nei meandri della mia mente. Per tranquillizzare l'uomo che mi sta di fronte, cerco le parole più appropriate, come sono solito fare io.

In fondo sono uno scrittore e le parole sono il mio strumento.

"Tranquillo: ho la storia. Torno fra un paio d'ore."

Ciò detto esco senza chiudere la porta e senza prendere le chiavi dell'auto. Probabilmente me ne accorgerò solo dopo che sarò uscito dal palazzo e dovrò tornare a prenderle, ma ciò non importa, poiché la Musa è tornata a farmi visita ed io devo tornare a servirla.
FINE.

Purtroppo dubito che possa venir apprezzato...

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