martedì 29 aprile 2014

Dormire, morire, forse sognare.

Le labbra così secce e screpolate da graffiarmi il corpo... Il fetore incontrollato di chi è prossimo alla morte o ne porta dentro di sé una parte... In città si era scatenata la peste, dopo al terremoto e tutti vivevano, finché potevano, di stenti e fatiche. Io che facevo? Consegne a domicilio, suppongo. Avevo un gelato da portare ad un cliente. Lavoro semplice. Il cliente si è rivelata essere una cliente fra i 5ò ed i 60 anni, non bella come doveva esser stata qualche anno prima ma manteneva un certo fascino. Abbiamo provato a parlare un po', mescolando l'italiano ad un po' d'inglese, mentre lei mescolava l'inglese con una lingua a me incomprensibile. Di cosa avessimo parlato non saprei dirlo, onestamente ma risultava ovvio che io attraevo lei così come lei attraeva me. Mi congedai, nonappena il marito fece la sua comparsa sulla sdraio accanto alla sua. Non so bene dove andai ma ad un certo punto fui spinto a ritornare. Il marito non c'era più. Lei sì: mi aspettava, ma il suo corpo non sembrava più quello di una sessantenne ben tenuta. Numerose piaghe affliggevano quella donna, che tanto doveva aver sofferto. Avrei voluto donarle conforto, affetto e ci provai, lo giuro che ci provai ma più mi avvicinavo e più quel corpo faceva crescere una sensazione di disgusto. Il braccio sinistro non c'era più, avrei giurato ci fosse la prima volta che l'avevo vista. Quanto tempo poteva esser passato? Mesi? Anni? Tutto il tempo di un sogno... La pelle era secca e mi graffiava il suo contatto. Emanava un'aura di morte, come se la nera signora non fosse stata troppo lontana. Come ho detto, giuro che provai a ricambiare l'affetto che mi offriva ma non ci riuscii. Le chiesi scusa. Lei mostrò di comprendere e si voltò. A quel punto me ne andai, lasciandola sola, rimanendo io stesso solo con la mia vergogna.

venerdì 25 aprile 2014

This isn't even my final form -cit.-

Capita a volte, mentre si lavora, mentre si viaggia, mentre si cucina, mentre si vive, di considerare se stessi, attraverso le forme precedenti, abbandonate in favore della sucessiva, fino a giungere a quella attuale.
Quali domande ci si potrebbe mai porre?
Beh, senza dubbio, la più sensata è "Sono migliore di com'ero in principio?"
Se pure questa sia la domanda più ovvia e scontata, raramente è la più semplice a cui rispondere, ammesso che si abbia raggiunto un'autocoscienza tale da capire che la propria opinione può venir influenzata dall'emotività eche risulti, quindi, non attendibile al 100%.
La mia mente ripercorre rapidamente le tappe, per valutare crescite e regressioni.
Da bambino (già allora con la convinzione che il mio cervello potesse frmulare due differenti opinioni sulle domande più semplici) son diventato adolescente/ragazzo, con l'arrivo di colei che chiamerò "Mary T", in onore della Maria Teresa, ad entrambi molto cara.
A quel tempo ho imparato molte cose sui rapporti interpersonali (se non tutto) e sui rapporti con me stesso.
Seguì un periodo di riposo e silenzio, in cui ho scoperto la mia vera natura da Kiwi da Compagnia e parallelamente, Kiwi da Palcoscenico (per poi divenire anche quella che "Brenda" avrebbe chiamato "La mia puttana", ma questo accade successivamente). E' mentre scopro questa parte di me, che incontro la Straniera, che riuscirà per brewve tempo a rapire il mio cuore, per poi lasciarlo andare e vederlo volare via, con mio sommo rammarico e non senza rimorso.
In tutto questo, mio fratello dormiva, ridacchiava, sognava, consigliava e si gloriava della perfezione delle proprie previsioni.
Solo dopo è arrivata Brenda. La ragazza giusta al momento sbagliato.
Con lei ho conosciuto davvero la mia essenza da kiwi, appena abbozzata, fino a quel momento ancora priva di uno sbocco reale che la esaltasse.
Un kiwi come quello non si è più visto, successivamente. Rimase soltanto la pallida ombra di ciò che ricordo essere quella luce allegra, sempre pronta a risplendere.
Questa è regressione, non trovi?
Senza dubbio.
Quella regressione ci ha portato a non riuscire più a metterci in gioco come una volta. Certo, continuiamo a metterci in gioco, ma in modo completamente differente. Ci mettiamo in gioco con una razio pronta a bloccarci, qualora volessimo fare qualcosa di troppo oltre.
Perché questa regressione? Probabilmente per l?Omonima, che dimostrava spesso vergogna per le nostre abitudini. Non saremmo mai voluti cambiare, solo per andare incontro ai gusti di un'altra, eppure, almeno in minima parte, lo abbiamo fatto.
Poi?
Poi ce ne siamo andati ed abbiamo scoperto essere il fratello con cui pensavamo di parlare. Abbiamo scoperto di essere meno solari di una luna nuova, di essere un ingranaggio fermo, senza nessun altro ingranaggio che sia intento a girare con noi.
La vita ci è stata atolta, fino agli ultimi mesi, fino a novembre, in cui sono stato nominato "Postino", come Mercurio, uno fra i miei favoriti, fra le divinità.
Negli ultimi mesi, ho riscoperto la gioia di esistere, la gioia di essere al mondo e di trasmettere gioia a chi ci circonda.
Siamo tornati a crescere, in una certa qual forma, sebbene mantenendo quella pietra scura che si era formata nel nostro animo e che lo aveva corrotto (e continuava a corromperlo).

Ora siamo qui.
Sereni? Mediamente.
Soddisfatti? Sì, abbastanza.
Ottimisti? No, per niente, ma non importa.

Siamo dei cinici realisti, analizzatori di un mondo che non fa nessuno sforzo per fingere di essere riservato.
Siamo Kiwi, sempre pronti a metterci in gioco, all'occorrenza.
Siamo nostro fratello ed il fratello di nostro fratello, al tempo stesso, come ad indicare la duplicità del nostro animo, a volte allegro e sempice, altre cinico ed insensibile.

Siamo noi, siamo così.
Chi ci conosce sa che siamo così. Chi ci conosce poco imparerà a capire che siamo fatti così. Chi non ci conosce, probabilmente non ci conosce perché li ho tenuti fuori dalla mia vita.

E con la mia Regina che dorme (o finge di dormire) al piano di sopra ed il Signore Morfeo che mi invinta a raggiungerla, c'è solo una frase che mi perseguita, nella sua particolarià:

"...e questa non è nemmeno la mia forma finale."

Come il fiume di Eraclito, in continuo mutamento, anche io stesso continuo a cambiare e modificarmi, a volte in meglio, altre in peggio, certo, ma ogni cambiamento è improvviso, inatteso ed imprevedibile.

Un po' mi spaventa, un po' mi affascina...Per lo più mi porta a stendermi, con la consapevolezza di non poter prevedere ciò che saremo in futuro, a differenza della facilità con la quale prevediamo quello degli altri.

martedì 8 aprile 2014

Occhi...

Ricordi, fratello?
Eri così invidioso dei miei occhi, così triste perché io vedeo il mondo sotto una luce differente, che lo illumina per quello che è in realtà.
Ma parliamo di tanti anni fa, non è vero? Parliamo di quando siamo stati giovani insieme. Separatamente insieme. Così vicini e così lontani. La sola cosa che ci distingueva erano gli occhi.
I miei così chiari e così aperti a tutto ciò che il mondo aveva da offrire (non molto, a dire il vero) mentre i tuoi erano così scuri e profondi, da potervi precipitare.

Ed ora hai i miei occhi, fratello, vedi il mondo che non capivi. Vedi ciò che è vero e vedi ciò che è falso. I nostri occhi vedono cose che gli altri non capiscono. Lo sai, lo abbiamo dimostrato numerose volte, non è così?
E allora dimmi, fratello mio, come ci si sente ad avere il mondo riflesso negli occhi? Come ci si sente a comprendere un mondo che sembra cieco, di fronte all'evidenza dei fatti?

Occhio per occhio, vita alla vita.

I tuoi occhi, fratellino mio, sono sempre stati un mistero per me. Non sapevo come tu vedessi il mondo, come tu comprendessi il suo andare, come tu potessi prevedere come alcuni eventi si sarebbero svolti.
Ora so che non era magia, non era preveggenza.
Era pura osservazione. Semplice logica e capacità di cogliere quei piccoli segnali che il mondo offre e che pochi afferrano. Tu vedevi le emozioni he trasparivano dalle persone e grazie ad esse, ne capivi le azioni, ne interpretavi i pensieri, ne manipolav le emozioni. Io non sono te, lo sai. Io non voglio manipolare le persone. Lascio che esse manipolino loro stesse e le osservo. Mi è sempre piaciuto osservare. E' un po' come guardare la televisione ed è vero: "È buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo."
Solo attraverso i tuoi occhi il modno sembra davvero reale. Visto con occhi comuni, sembra soltanto una pantomima priva di significati, senza capo né coda.
Amo i tuoi occhi, i nostri occhi, perché grazie ad essi, vedo ciò che il mondo ha da dire e non riesce ad esprimere a parole. Vedo le emozioni (belle e brutte) nelle persone e scelgo se gioirne o dolermene, in base alle persone, in base ai momenti. 
Che sia un dono o una maledizione, non so deciderlo davvero. Forse entrambe le cose, forse nessuna delle due. E' soltanto ciò che è: la mia finestra sul mondo, da cui osservo ciò vi passa davanti, lasciando per lo più che ognuno viva la propria vita.

E così dovrai continuare a fare, fratello mio. Così come ho fatto io, ricorda sempre cos'è successo la sola volta che, con questi occhi, ho influenzato direttamente una persona.

Lo ricordo bene, fratellino. La tua stessa presenza mi concede il privilegio di ricordarlo distintamente.

Gli errori sono fatti per non venir ripetuti.

Ci sono così tanti errori da compiere nel mondo, ne farò altri.

"Si sbaglia sai, quasi continuamente, sperando di non farsi mai troppo male, ma quante volte si cade..."

"Cadi 7 volte, rialzati 8."